22 Aprile 2021 - In evidenza
Il rifugio alpino in discussione: resilienza e visione
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di GIACOMO BENEDETTI*
Ad un anno dai primi contagi, dopo una stagione difficile, si consultano i primi bilanci e, analizzandone i dati, ci si prepara ad affrontarne una seconda verosimilmente analoga a quella appena terminata. È facile capire come i rifugi alpini, in questo periodo di paura e confusione sanitaria, legislativa e sociale, stiano vivendo un momento di grande crisi economica ed identitaria. Distanziamento, sanificazione e gestione dei flussi sono stati gli obiettivi minimi da raggiungere per poter aprire i battenti. Il virus non è ancora stato sconfitto, le strutture in quota non potranno abbassare la guardia riappropriandosi delle loro prerogative e peculiarità in tempi brevi.
Associare il concetto di “distanziamento fisico” ad un rifugio del Club Alpino Italiano si è rivelato un compito arduo se non impossibile. Condivisione e “sana” promiscuità sono prerogative irrinunciabili che, se azzerate o anche solo ridimensionate, rischiano di compromettere l’anima e lo spirito del rifugio, assimilandolo sempre di più ad una struttura ricettiva tradizionale.
Per questo motivo ogni riorganizzazione funzionale del rifugio, poiché ne condizionerebbe il modo di frequentazione mettendone in discussione i “fondamentali”, va attentamente ponderata. I sobri e spesso esigui spazi disponibili sono propedeutici e funzionali alla coabitazione temporanea, alla condivisione di esperienze, all’osmotico interscambio culturale e sensoriale che attiva una alta percezione di se stesso e dell’altro.
Rimodulare uno spazio, inibire un accesso o alzare barriere in plexiglass, operazioni forse efficaci per la prevenzione sanitaria, potrebbero rivelarsi compromettenti o letali per il “sistema rifugio”, che va tutelato e preservato vigilando attentamente ed intervenendo quando necessario.
In quest’ottica, il CAI ha iniziato ad operare per sostenere le sue strutture durante la pandemia rendendole, per quanto possibile, covid free. Le limitazioni imposte dai protocolli sanitari anti covid hanno drasticamente ridotto la ricettività delle strutture sia in termini di posti letto che di somministrazioni pasti, cambiando le modalità di fruizione del rifugio a scapito della socialità. Per garantire il puntuale rispetto di queste regole, si è compiuto un grande sforzo organizzativo che ha assicurato sanificazione, mascherine e distanziamento fisico. Grazie all’encomiabile lavoro dei rifugisti le disposizioni sono state scrupolosamente applicate, evitando casi di contagio nei rifugi CAI.
Dal CAI è stato svolto un imponente lavoro di comunicazione per informare, sensibilizzare e, per quanto possibile, formare gli avventori su come si frequenta un rifugio, su quali sono le aspettative che devono avere e le buone pratiche da adottare. Si è posta l’attenzione sulla scelta della meta, consigliando di diversificare scegliendo zone meno note e frequentate, pianificando scrupolosamente l’escursione, verificando la disponibilità dei posti in rifugio e, una volta deciso, effettuando la prenotazione.
Particolare attenzione è stata dedicata alla sanificazione degli ambienti. La scelta del metodo usato nei rifugi CAI – generatore di ozono – ha tenuto conto delle caratteristiche intrinseche delle strutture, dei materiali da costruzione utilizzati (pietra e legno) e della garanzia del comfort abitativo.
Memori dell’esperienza maturata si affronterà l’imminente stagione estiva. L’evento pandemico ed il cambio di paradigma imposto, mettendo in discussione l’esistenza stessa dei rifugi alpini a favore del modello “alpigrill”, ha evidenziato l’indissolubilità del binomio montagna – rifugi! Una montagna senza rifugi è inconcepibile ed inimmaginabile e l’attuale situazione – pandemica, sociale ed ambientale – richiede decisioni coraggiose e visionarie.
I rifugi, identificati come patrimonio ed opportunità per l’intera comunità, sono presidi territoriali, vere e proprie infrastrutture propedeutiche alla corretta e sicura frequentazione delle terre alte. La montagna è contenitore di biodiversità, laboratorio di esperienze ed unisce territori e popolazioni. I rifugi sono nodi di una rete etica (trans nazionale) in cui si deve trovare cultura, qualità ambientale, comportamenti virtuosi ed economia circolare che rilanciano il valore d’insieme del territorio elevandolo a distretto culturale, ambientale e turistico.
In questo contesto il CAI deve compiere delle scelte, attuando comportamenti durevoli nel tempo, intervenendo sui rifugi nel ruolo, nel funzionamento e nell’offerta ovvero valorizzandone e promuovendone l’essenzialità. I temi guida di queste azioni sono l’ecosostenibilità, l’innovazione, i sentieri e le infrastrutture, i rifiuti, l’energia e la valorizzazione del “sistema presidio” (monitoraggio, gestione e tutela del territorio).
I rifugi sono nati per dare riparo agli alpinisti ma, nel corso degli anni, hanno contribuito alla frequentazione “lenta” della montagna. Frequentazione che, partendo dal paese di fondovalle, raggiunge il rifugio, elevandolo a “porta di accesso alla montagna”, e si propaga in modo rispettoso e consapevole sui sentieri, sui siti di arrampicata e sulle vie alpinistiche, generando così un turismo di qualità. Un turismo che non ha connotazioni industriali e che si rivolge principalmente ad escursionisti e alpinisti, privilegiando giovani e famiglie, dall’intrinseca vocazione ambientalista. In questo contesto, il rifugio diventa un irrinunciabile presidio culturale ed ambientale che propone ecoturismo, promuovendo il patrimonio naturale e culturale del territorio ospitante.
I rifugi sono avamposti in montagna, luoghi di accoglienza educante e di sensibilizzazione ambientale che avvicina il mondo reale a quello artificiale, avvicina montagna ed aree urbane, avvicina il turista al montanaro. Questa è la grande sfida che, sin da subito, la montagna e i rifugi del CAI sono chiamati ad affrontare.
Giacomo Benedettti (secondo da destra davanti al bivacco Nino Soardi in Val Pellice, 2620 m) è presidente Commissione centrale Rifugi ed Opere alpine del Club Alpino Italiano