23 Dicembre 2020 - In evidenza
Il futuro della montagna passa dal superamento della monocultura dello sci alpino
Vai al Contenuto Raggiungi il piè di pagina
23 Dicembre 2020 - In evidenza
Un documento che illustra in modo esauriente le tematiche, spesso oggetto di confronto anche aspro, relative al futuro delle attività sciistiche e degli impianti per la pratica dello sci da discesa e contiene una puntuale analisi riguardante non solo l’ambiente, ma anche l’economia dello sci da discesa in Italia, nell’arco alpino e nei Paesi europei.
Intitolato “Cambiamenti climatici, neve, industria dello sci. Analisi del contesto, prospettive, proposte”, il testo elaborato dalla Commissione centrale tutela ambiento montano è stato approvato all’unanimità dal Comitato Centrale di indirizzo e controllo diventando così la posizione ufficiale del Club alpino italiano su queste importanti tematiche. Dopo un’attenta analisi della condizione degli impianti e stazioni esistenti, è presente la valutazione dei benefici e dei costi che essi producono per le comunità locali e il paesaggio montano, gli effetti dei cambiamenti climatici sulla durata dell’innevamento, la situazione del mercato quanto a offerta e domanda sciistica (la prima eccedente rispetto la seconda).
Gli effetti di scelte che tendono alla proliferazione di nuove infrastrutture, generano devastanti conseguenze sull’ambiente, la biodiversità, la stabilità idrogeologica dei territori, ed anche distorsioni e diseguaglianze nella distribuzione della ricchezza e dei redditi tra le diverse località montane, intere vallate e tra i cittadini residenti. Peraltro note ricerche effettuate suggeriscono che il gigantismo degli impianti non porta maggior reddito alle popolazioni e a ciascun abitante delle Terre alte. Per trovare zone innevate la tendenza è sempre più quella di innalzare la quota altimetrica in cui realizzare impianti, compromettendo zone intatte e destinate ai soli alpinismo, scialpinismo, escursionismo e alla preservazione della natura selvaggia incontaminata.
C’è dunque da parte del Cai una netta presa di posizione di contrarietà ad ampliamenti e alla realizzazione di nuove infrastrutture anche in alta quota. Centinaia di milioni di euro proposti per progetti di nuovi impianti, spessissimo con la partecipazione di fondi pubblici, potrebbero essere destinati a strategie alternative e praticabili.
«Proponiamo una diversificazione e uno sviluppo economico locale maggiormente confacenti con gli obiettivi di Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, nella consapevolezza che la dipendenza dal solo turismo sciistico rende la montagna debole e vulnerabile – afferma il Vicepresidente generale Erminio Quartiani – Vanno cioè potenziate le attività produttive tradizionali come il turismo rurale, la piccola impresa artigiana e l’agricoltura di montagna, ma anche sostenute le attività innovative di una economia legata ai siti Natura 2000 e ai Parchi, in sinergia con la filiera agroalimentare, il settore forestale, la ristorazione, l’offerta culturale, il commercio di prossimità e le produzioni tipiche locali»
Quartiani sottolinea poi che, per attrarre nuovi residenti nelle terre alte e assicurare la qualità della vita di chi già vi risiede,
«occorre garantire certezza nella disponibilità e diffusione di servizi e infrastrutture indispensabili: scuole, medicina di base e territoriale, farmacie, centri sportivi e culturali polivalenti, servizi bancari anche dedicati agli impieghi in loco, servizi postali e di telecomunicazione efficienti e capillari, servizi per gli anziani e i giovani, mezzi pubblici funzionanti, sistemi telematici moderni, superando il digital divide ancora penalizzante per la montagna».
Il testo propone anche un ripensamento della programmazione edilizia, suggerendo uno stop a nuove costruzioni e seconde case, dando precedenza alla riqualificazione del patrimonio esistente. Nello specifico si possono realizzare piani di recupero di 200 stazioni e impianti abbandonati disseminati sulle montagne italiane che devastano il territorio, anche riutilizzando i manufatti abbandonati destinandoli a nuova accoglienza.
«Occorrono concretezza e chiarezza nella lettura del presente e nelle previsioni per il futuro, accompagnate a quella moderazione necessaria per incontrare il consenso nel delineare una transizione verso una nuova economia montana – continua Quartiani – Un’economia nella quale gli interessi in campo siano orientati verso la sostenibilità attraverso un patto di solidarietà tra città e montagna, tra residenti e frequentatori, orientati a fare interagire ambiente, clima e sviluppo, interessi locali e nazionali, individui e collettività».
Si può dunque potenziare un’attività diversa dallo sci alpino, che valorizzi l’ospitalità diffusa e potenzi le nuove tecnologie per favorire la residenza e una nuova imprenditorialità in montagna.
«Per fare questo, è necessario programmare l’uso di ingenti risorse da destinare alle aree montane e interne, per creare sviluppo di qualità e occupazione, manovrando la leva della fiscalità di vantaggio per chi abita, lavora e imprende nelle terre alte, con un uso coerente e determinato di piani e fondi europei, a cominciare dal New Green Deal, al Recovery Plan, al Next Generation EU – conclude Quartiani – Il Cai ci crede e propone una via diversa dalla vecchia ricetta, distorsiva e datata, della crescita economica quantitativa della montagna, tutta incentrata sulla monocultura dello sci da discesa».
Articolo su LoScarpone.cai.it