2 Settembre 2020 - In evidenza
La soluzione è la “Montagnaterapia”
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«Il lockdown ha lasciato un segno, soprattutto sulle persone già in difficoltà, per questo anche se molte delle attività del Club Alpino Italiano sono ancora ferme, abbiamo spinto per far ripartire il prima possibile quelle di Montagnaterapia. Ce n’è davvero bisogno», racconta Ornella Giordana, referente per la Montagnaterapia a livello nazionale in Commissione Centrale Escursionismo e del gruppo La Montagna che Aiuta del CAI Torino. Con una formazione in campo sanitario ed escursionistico, la Giordana ha anche collaborato, in rappresentanza del CAI con Marco Battain e Daniela Formica, alla stesura della “Carta etica della montagna”, approvata a febbraio del 2019 dalla Giunta regionale del Piemonte.
Come e dove nasce la Montagnaterapia?
«Venne ideata in Francia a inizio anni ottanta, in un istituto manicomiale di Charleville-Mézières. Oltralpe, non c’era stata una legge analoga alla Basaglia ed è in quel contesto che un infermiere decise di portare in montagna alcuni pazienti. Ricordo di avere letto una sua frase dove diceva che li aveva portati “al cospetto dei ghiacci dove riaffiorava la loro umanità”. Nascono così le prime esperienze positive legate agli effetti benefici della montagna, poi riprese in Belgio per aiutare chi soffriva di dipendenze, fino ad arrivare in Italia. In Lombardia con i tossicodipendenti ed in Trentino grazie al medico psichiatra Sandro Carpineta che decise di coinvolgere i centri diurni.
In questo contesto, la montagna è vista come uno scenario riabilitativo. Secondo la definizione dell’Associazione Montagnaterapia Italiana, con Montagnaterapia si intende un originale approccio metodologico a carattere terapeutico-riabilitativo e/o socio educativo finalizzato alla prevenzione secondaria, alla cura e alla riabilitazione di individui portatori di differenti problematiche, patologie o disabilità, attuato attraverso il lavoro sulle dinamiche di gruppo, nell’ambiente culturale, naturale e artificiale della montagna. Queste attività vengono progettate ed attuate prevalentemente nell’ambito del Servizio Sanitario Nazionale, o in contesti socio-sanitari accreditati, con la fondamentale collaborazione del Club Alpino Italiano e di altri enti o associazioni (accreditate) del settore».
In cosa consistono i progetti e a chi generalmente si rivolgono?
«Si tratta di uscite organizzate in montagna, che si sviluppano di solito su periodi medio-lunghi e si rivolgono a persone con disabilità fisica e sensoriale, con problemi di salute mentale, con dipendenza da sostanze o portatori di patologie specifiche.
In Piemonte, quello prevalente, è l’ambito della salute mentale, ma lavoriamo molto anche sulla promozione della salute: un esempio è il Diab3king per ragazzi diabetici che viene organizzato da anni.
I benefici che ci si attende riguardano in generale il recupero della corporeità. È la bellezza di camminare insieme e di muoversi in un ambiente dove i sensi trovano stimoli continui, che l’accompagnatore deve saper offrire. Ma non solo, siccome si tratta di progetti di solito articolati su più uscite, a volte pernottando in rifugio, si dà grande importanza al valore del gruppo per superare le inadeguatezze e come ritorno ad avere relazioni significative. In montagna, d’altra parte, si ha sempre bisogno degli altri.
In queste persone aumenta così l’autostima, perché il pensiero è: se oggi sono riuscito a fare questo, domani avrò la forza magari di affrontare le difficoltà della vita quotidiana. È un’emozione vedere che persone sofferenti e che magari stentano la mattina ad avere la forza per alzarsi dal letto, dopo un periodo in montagna sono pronte a infilarsi gli scarponi e ad andare a camminare».
Come supporta il Club Alpino Italiano i progetti di Montagnaterapia?
«Mette al servizio di questi progetti le proprie competenze in tema di montagna. Per questo abbiamo deciso di lavorare sulla formazione e nel 2017 abbiamo inoltrato un questionario tematico alle 500 sezioni nazionali, che raccolgono più di 320 mila soci. Abbiamo così appreso che ben 150 sezioni sono già operative in progetti di Montagnaterapia. L’attuale presidente Vincenzo Torti, rilevandone il ruolo centrale, ha dato un forte impulso al nostro operato, pertanto tra le prossime iniziative ci sarà anche la costituzione di un gruppo di lavoro che sarà chiamato a stilare le linee guida utili dell’accompagnamento».
Qual è invece l’obiettivo della “Carta etica della montagna” della Regione Piemonte?
«La Carta intende promuovere una cultura che valorizzi l’economia locale legandola ad una frequentazione turistica sostenibile e socialmente inclusiva, nell’ottica di accogliere anche le fasce più fragili della popolazione. Un risultato raggiungibile solo con il coinvolgimento diretto di enti pubblici e associazioni: ecco perché chi intende sottoscriverla deve riconoscerne integralmente il contenuto.
Si vuole lanciare un messaggio contro lo stigma legato a problematiche della salute e, al contempo, sostenere la montagna e le realtà locali che gravitano intorno ad essa.
Sono state fatte riflessioni sulle ipotesi di consolidamento delle attività di rete e sugli sviluppi che ne possono derivare, legate soprattutto a quelle che in Piemonte chiamiamo terre alte, la montagna marginale cioè poco frequentata dal turismo nelle mezze stagioni, ma alla cui microeconomia possiamo contribuire con i nostri gruppi e le nostre attività. Le reti di sviluppo della Montagnaterapia rappresentano le risorse legate alle comunità territoriali con le quali vogliamo costruire le attività e sono altresì le componenti delle stesse comunità locali che si incontrano con le persone che fruiscono degli interventi di Montagnaterapia. Proprio da questa mescolanza con non esperti di salute possono originare idee e spunti operativi nuovi, che vanno al di là delle pure uscite, obiettivi differenziati che forniscano risposte sia alle persone che frequentano il gruppo montagna e sia alle comunità locali. E chissà che non si torni a vivere più intensamente la montagna stessa».